LA FONDAZIONE
Mario e Luigi Danieli
Queste riflessioni sono state scritte in occasione della presentazione del libro 'Nati per la meccanica' nel 2013
“Prendi l’aereo e vola a casa” scrive il nonno Mario a suo figlio nel 1950, incoraggiandolo a lasciare l’Argentina dopo una lunga e amara esperienza. Leggendo Nati per la Meccanica di Mario Robiony, saggio sull’avventura imprenditoriale di Mario e Luigi Danieli nel 900, rimango colpita da queste quattro parole che riassumono così bene lo spirito del nonno e il profondo affetto che lo legava a suo figlio. Guarda che bravo, penso, esorta il papà a “volare”, non a tornare a casa. È una sfumatura, ma quanto del nonno c’è in questa parola, quanto del suo stile e ottimismo, della sua generosità e della sua grande ammirazione per il figlio.
Sono animato da buone speranze. Non sono affatto scoraggiato. Calcolo il passato come morto e ritorno da capo. Il mondo non è fatto a scala??
Mario DanieliIl libro svela le tante cose fatte, le battaglie vinte e perse, i momenti felici e sconsolati di due vite ricche, intense, e soprattutto la relazione speciale che esisteva fra padre e figlio. Il loro rapporto intreccia queste due avventure dai risultati opposti in una parabola unica che trasforma gli insuccessi del nonno nei successi del papà, vissuti con lo stesso spirito. Lo spirito “Danieli”.
Tutto comincia agli inizi del ‘900 quando Mario, giovane ingegnere, morde il freno alla Ginori e, insoddisfatto di una vita di routine, manda il fratello Timo, appena laureato alla Bocconi, a caccia di iniziative imprenditoriali che gli permettano di lavorare libero e indipendente. Molte sono le attività che insieme valutano, alcune già avviate, altre delle vere e proprie start-up e diversi sono i campi dove decidono di investire: edilizia, editoria, carbone, cinema, acciaio e tanti altri. La mente di questo fervore imprenditoriale è sempre Mario che alla fine lascia la Ginori per una vita più avventurosa e stimolante. Ma non più facile…
I progetti non vanno bene, nemmeno la partecipazione più importante nell’acciaieria Angelini di Brescia, professionalmente impegnativa e finanziariamente onerosa, che finirà in un totale disastro e in una montagna di debiti. Lo scenario è sconcertante, tuttavia Mario non si sente sconfitto. “Sono animato da buone speranze. Non sono affatto scoraggiato. Calcolo il passato come morto e ritorno da capo. Il mondo non è fatto a scala?? “ scrive in uno di quei brutti periodi ai suoi genitori, in questa storia figure marginali, ma non secondarie. L’affascinante personalità di Mario è infatti il risultato di un connubio singolare fra Anna Beltrame, ricca e determinata contadina friulana e Filotimo Danieli, giovane trentino, avventuriero e passionario che, dopo aver partecipato alla Spedizione dei Mille , si sistema a Rive d’Arcano come medico condotto. Dalla madre Mario eredita il buon senso della terra, dal padre lo spirito intraprendente dell’ex-garibaldino. Ma non basta. Il suo carattere si forma in una famiglia allargata ai fratelli del nonno. lo zio Checco, pittore e lo zio Arcadio, viveur a Parigi, molto vicini a Mario e al fratello Timo, e anche loro come Filotimo, uomini belli, intraprendenti e un po’ irriverenti.
In questo ambiente misto, urbano e contadino, serio, ma non troppo, operoso, ma non bigotto, in un’atmosfera solare, libera da conformismi e pomposità, fiorisce Mario. Diventa una persona eclettica, un tecnico e un artista, un brillante ingegnere, un innovatore la cui visione però rimane sempre ancorata a una concreta semplicità. Questo modo particolare di volare con i piedi per terra ispirerà tutta la vita del nonno: sarà la fonte del suo ingegno tecnico, della sua forza d’animo, della capacità di accettare le sconfitte senza perdere la voglia di osare, di rischiare.
Il vivere e pensare in modo audace e semplice, l’amore per la soluzione ingegnosa e chiara, per le cose che hanno senso e sostanza, verrà condiviso completamente dal figlio. Le macchine che, negli anni ’60, renderanno famoso il papà fra gli acciaieri bresciani, trampolino di lancio della Danieli nel mondo , sono il risultato di una mente formata alla scuola di Mario, semplice e sofisticata. “ Sono persuaso che se tu ti metterai a studiare sul serio solo 4 o 5 ore al giorno, ti metterai a posto colle tue varie materie, ma anche colla tua coscienza” scrive nel 1936 il nonno al papà, svogliato studente a Padova. E continua “ la mente caro mio, va scossa come, e forse più del corpo, e va tenuta come questo in continuo allenamento perché non si indurisca. La tua a furia di far poco, stava anchilosandosi. Ho molto piacere che te ne sia accorto e ricorra al rimedio”. Questa una delle tante benevole tirate di orecchie fatte al papà dal nonno che non mancavano mai di buon senso e humour e che probabilmente erano molto più efficaci di tante prediche scontate e saccenti. L’attenzione di Mario per il figlio e l’affiatamento che esisteva fra loro, raro allora come ora, traspare nelle varie lettere che si scambiano, nei diari personali e in aneddoti che venivano raccontati in famiglia e che ora acquistano un senso molto preciso. Fra questi uno in particolare che la foto in copertina richiama. Ci raccontava infatti, mio padre, che il nonno lo mandava a tirare di boxe per irrobustirsi – il suo soprannome PCT, deriva da Piciriti, nomignolo che gli era stato affibbiato da bambino, perché piccolino e magrolino – ma soprattutto per imparare ad incassare i colpi. Formare Luigi diventa una missione per Mario e realizzare la visione di Mario diventa un dovere per Luigi.
la mente, caro mio, va scossa come e forse più del corpo e va tenuta come questo in continuo allenamento perché non si indurisca. La tua a furia di far poco, stava anchilosandosi. Ho molto piacere che te ne sia accorto e ricorra al rimedio
Mario DanieliDa qui le mille cose che fanno insieme quasi divertendosi anche se in mezzo a tante difficoltà e preoccupazioni: si avvicendano alla guida della piccola officina di Buttrio, contando sul reciproco appoggio, lavorano all’OM prima il nonno come tecnico collaudatore, poi il papà come capo del reparto trattamenti termici, studiano e inventano soluzioni meccaniche e congegni innovativi alcuni anche spiritosi come il clacson per camion che il nonno battezza Tuon di Maggio. Questi sono solo alcuni esempi delle tante iniziative che portano avanti in piena sintonia e solidarietà. Quando il nonno muore il papà annota nella sua agenda di aver perso “ il più grande amico e compagno di lavoro”. Dalle incudini, ai clacson e frecce delle automobili, alle cesoie volanti, alle altre macchine per la laminazione, ai mini mills, alle acciaierie chiavi in mano. Gli anni passano, l’azienda cresce, le realizzazioni sono più importanti, ma il modo di pensare non cambia, rimarrà ancorato al buon senso e alla sostanza. Come Mario prima di lui, anche Luigi si concentra nella vita e sul lavoro su problemi veri, essenziali, che risolve in modo semplice.
Se oggi possiamo riflettere e forse anche imparare dalle storie di Mario e Luigi Danieli lo dobbiamo a due persone: Teresa Zoratti e Mario Robiony. Alla mamma va la nostra gratitudine per aver dato fiducia e sostegno a Mario, per avergli messo a disposizione la biblioteca di casa, l’archivio delle lettere e dei diari personali e di lavoro del nonno e del papà. In questi ultimi anni, le rare volte in cui ero a Caminetto, vedevo arrivare Mario che spariva per ore nello studio per riemergere da dietro pile di carte e documenti solamente quando la mamma gli portava il caffè con i biscottini su un rotondo vassoio di peltro. La breve scena risvegliava in me tenerezza e ammirazione per il rapporto che, attraverso il papà, si era stabilito fra loro, le due persone che probabilmente lo hanno conosciuto meglio. A Mario va tutta la nostra riconoscenza per averci aiutato a scoprire e ad apprezzare due uomini e il loro formidabile spirito così semplice, così spontaneo, così intraprendente.